Lo scrittore è un giullare che cade a pezzi. “Le Parole dei Libri” inizia dai cocci di Binari, Brama, Blu

Lo scrittore è un giullare e chiede al Mondo: “diteci, vostra maestà, cosa dovremmo raccontare?”

In uno spazio-tempo slabbrato, che si frantuma, dove gli umani sono cocci, c’è ancora qualcuno che critica i libri che parlano di individui e mondi interiori – dateci le grandi imprese, dateci le grandi persone! – libri che pongono al centro della “storia” – ed è già sorprendente riuscire a imbastire sopra i cocci una “storia” con tanto di fine-svolgimento-inizio (no, scusate, al contrario) – l’intimità, le emozioni, il volto allo specchio.

Cioran li chiama “monadi impazzite”, questi individui che cadono a pezzi.

Come se ancora servisse ricordare che da Svevo e Pirandello in poi tutto è cambiato – all’incirca, non sono poi così sicura, non sono sicura di nulla di quello che dico, correggetemi se sbaglio – e per sempre. Può andare peggio, pensavamo. Ed è esattamente così che è andata.

Nella letteratura, oggi più di ieri, è l’individuo che conta, il modo in cui filtra il reale attraverso gli occhi gonfi di lacrime, le ferite e la propria storia personale.

Io amo i libri di carta ma spesso mi ritrovo a dover constatare che il racconto del nostro tempo non lo fanno i grandi romanzi ma gli adolescenti da milioni di followers su youtube: alcuni di loro – non tutti, per carità, non tutti, non datemi addosso (ehi, sono sempre quella che ama i libri di carta!) – parlano meglio di chiunque altro, attraverso la musica o le arti performative, di temi brucianti come il bullismo o l’identità di genere. E sì, parlano alla loro generazione ma è a me, alla mia generazione, agli adulti in generale, che hanno qualcosa da insegnare. Se volete capire di cosa parlo, guardate un video di Madame, la canzone “Voce” (non è il mio genere – sono una da Cure, Smiths, Queen, Black Sabbath, musicalmente sono ferma agli ’80-’90 – e non ho visto Sanremo: non posso farcela, è troppo anche per me che sono di larghe vedute, perciò ringrazio un’amica per la segnalazione).

La sola cosa che gli scrittori possono (e devono) fare meglio degli youtubbers (si scrive così? Scusate ma non sono una iutubber), in un tempo frantumato di umani che cadono a pezzi, è parlare di questi cocci, delle pulsioni sordide e inconfessabili che si agitano in ciascuno di noi – dentro, in fondo, nel buio, dove non si vede – e farlo con un feroce labor limae sul ritmo delle frasi e sulla scelta delle parole: che siano parole cercate, volute, scartate e ripescate. “Esiste una sola parola adatta per ciò che voglio dire”, dice Annie Ernaux in un’intervista al Corriere. Scegliere le parole, il ritmo giusto della frase, raccontare il “reale individuale”, le piccole storie di falliti e sognatori erranti, le relazioni tra esseri minimi che si percepiscono come insignificanti, ininfluenti nella Storia (e lo siamo, e lo abbiamo accettato, forse, dopo quest’anno) e farlo attraverso un filtro che amo definire “balzo oltre il reale” (questo esercizio di finzione, io credo, insieme alla scelta delle parole, è ciò che innalza al livello di arte la narrazione): il fantastico, il sogno e l’incubo, il surreale che accade, come quando guardi i rami di un albero e all’improvviso il tronco apre la bocca e ti fa entrare, o cadono i fiori arancioni dalla carta da parati e tu li afferri e li divori e sanno di cioccolato fondente o la nuvola mette i piedi per terra e comincia a rotolare e tu ci finisci dentro e sei nella tana del bianconiglio dove la regina digrigna i denti e ti morde il collo. Cose del genere. Ma va bene anche altro, anche cose migliori (erano le prime che mi venivano in mente, scusate). Ma che abbiano la forza dell’incubo, delle cose realmente inesistite, impossibili, che sfuggono al controllo degli esseri umani miseri e senza potere che siamo. Impossibili perciò necessarie.

La sola consolazione è che né le pandemie né il carcere forzato potrebbero togliere all’essere umano la capacità di immaginare. Quindi ogni scrittore che voglia dirsi umano e voglia parlare ai suoi sodali non dovrebbe mai smettere di fare la fatica che i suoi simili non fanno fino in fondo: guardarsi dentro, sprofondare e poi risalire con le lordure, uscire nel mondo e trasformare attraverso l’immaginazione. Capisco la difficoltà ma è un dovere “sociale”: nessuno chiede a nessuno di scrivere. Potresti benissimo fare l’allenatore di calcio della nazionale (potresti, giuro che potresti!) o la ballerina di burlesque (se avessi il corpo giusto, è quello che farei. Un sogno segreto. Ma non ce l’ho, il corpo giusto, perciò mi chiudo in camera e scrivo). La cosa più difficile potrebbe essere farlo nel quotidiano. Allora darsi una regola, una disciplina: una cosa tipo “immaginare/sognare per venti minuti, tre volte al giorno”. Guardare un film di Lynch o la sua intervista a una scimmia. Leggere un fumetto di Dylan Dog. Cose così. Guardare e forzare il reale ad essere altro da sé.

Gli adolescenti non stanno bene ma sono migliori degli adulti e hanno qualcosa da insegnare agli scrittori quando trovano un modo alternativo, fuori dagli schemi, per gridare il loro dolore e comunicare, condividere delle emozioni. Lo scrittore migliore, per me, è un bambino e insieme un adolescente che porta addosso il peso e la consapevolezza dei suoi cento anni. Non ha mai l’età che dichiara di avere – non guardate le biografie degli scrittori prima di leggerli, non fate loro questo torto: leggete le loro parole! – e sa troppe cose, pensa troppo, ne ha viste troppe (spesso solo nella propria mente) cose che voi umani – l’orrore! L’orrore! L’orrore! – e quindi le può raccontare. Le deve raccontare. Quantomeno per liberarsene.

È così che, senza la pretesa di influire sulla Storia, influisce sulla vita di una persona, una o due al massimo magari, specie se non è famoso e non è pubblicato da colossi del mercato editoriale. Ma è grazie a questo dono che ha cambiato la storia, e la vita, di uno o due persone (dai, facciamo che siano tre, dieci, cento, mille…aiutiamo gli scrittori che se lo meritano, ricordando che la maggior parte di loro non ha le doti comunicative di uno iutubber).

Ho inaugurato per il progetto La Lupa l’iniziativa Le Parole dei Libri proprio con questo scopo: raccontare in maniera istintiva e labirintica (diversamente non so fare, e credo questo articolo ne sia la dimostrazione) i libri degli scrittori del mio tempo che, con le loro parole, hanno influito come forse mai avrebbero immaginato sulla mia storia personale. E raccontare le loro pagine attraversando le parole che ritornano ossessivamente nella loro Voce.

Anche per dire loro Grazie. Nessuno dice Grazie a chi scrive mentre scrive. Bisogna dire loro Grazie non tanto per i libri che hanno già scritto ma per quelli che stanno scrivendo in questo momento. Sperando che continuino a scrivere. Perché trovare una Voce, ad ogni livello (non solo nella scrittura) è uno degli obiettivi più difficili da raggiungere nella vita di un essere umano. E il fatto che loro ci siano riusciti proprio mentre cadevano a pezzi, come tutti noi, è una dimostrazione di coraggio che fa ben sperare. I loro libri sfondano spesso il muro del reale, non sono mai banali e sono scritti bene, con rigore e amore per le parole.

Il primo appuntamento dell’iniziativa è stato una diretta sgangherata dedicata a tre scrittrici Monica Pezzella, Ilaria Palomba, Giorgia Tribuiani. I libri: Binari, Terrarossa edizioni; Brama, Giulio Perrone Editore; Blu, Fazi Editore.

Perlopiù improvviso. Spero di migliorare col tempo. Ma sono felice di aver iniziato con queste tre Voci straordinarie. Sapevo che la forza dei loro Libri avrebbe compensato la mia inettitudine ai social.

Le recensioni e le interviste ai libri le trovate online. Qui ne linko tre per chi volesse approfondire:

Monica Pezzella, Binari

Ilaria Palomba, Brama

Giorgia Tribuiani, Blu

P.S. Quasi sempre dico “scrittore” come direi “poeta”, quando non mi riferisco a persone specifiche.

Chi mi conosce sa perché non sento il bisogno di specificare. Ci siamo intesi. Gli altri possono sempre chiedere o leggere qui.

7 pensieri su “Lo scrittore è un giullare che cade a pezzi. “Le Parole dei Libri” inizia dai cocci di Binari, Brama, Blu

  1. Alessandro Gianesini

    Tra le tante cose che cambiano, il libro di carta è una di quelle che mantengono il fascino del “vintage”, perché vanno ad appagare più di un senso.
    Detto ciò, io sono convinto che l’odierno guitto (giullare è più denigratorio e meno istrionico, a mio modo di vedere) deve sapersi barcamenare tra le tante possibilità (perché tali sono) che offre il mondo… ma poi, quelli come me (e credo come te) fan fatica a calarsi completamente in una realtà “virtuale” come quella odierna, che mixa il concreto e l’illusorio per rendere partecipe quanta più gente possibile alla “festa” della propria opera.

    Ok, in pratica, per sintetizzare il mio sproloquio delirante, le cose non cambiano: serve equilibrio e intraprendenza. 😉

    PS: bello il rafforzativo con la doppia “b” per youtuber! 😀

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    1. Io su guitto-giullare ho l’idea esattamente opposta. Mi viene in mente il fatto che nel mondo del teatro dire “guitto” è un pò come dire saltimbanco, un attore rodomonte, uno che grida e si sbraccia e si agita sulla scena. Però, al solito, qui siamo nel campo del totalmente soggettivo, credo 🙂

      Quanto alla realtà virtuale il paradosso è che io non sopporto i social e però mi rendo conto che, forse per questo mi spaventano e hanno qualcosa di perturbante, portano a danzare il sottile confine realtà-finzione. E non è fondo su questo confine che danza chi scrive? Mi chiedo spalancando la bocca in un urlo di terrore. In fondo, il sogno e l’immaginazione condividono qualcosa del sistema su cui poggia la realtà dei simulacri, almeno io questo credo. Peccato che, mentre condividono le astrazioni e le infinite possibilità dei mondi invisibili, condividono anche tutto il potenziale pericoloso che chi si addentra troppo nel profondo e nell’onirico sperimenta. Grazie sempre delle tue parole, Alessandro. Mi dai modo di riflettere su temi che amo/amiamo 🙂

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      1. Alessandro Gianesini

        Infatti il confine tra realtà e finzione esiste anche nel mondo reale, nel virtuale, nello scritto… ovunque.
        C’è “solo” da prenderci le misure, ma non credo ci sia un metro atto a riuscirci sempre e comunque 🙂

        Detto ciò, interessante la tua visione di Guitto, che in effetti ha un suo perché. Però, checché ne dicano quelli che si riempiono la bocca di paroloni, la lingua non è uno strumento univoco, perché è un oranismo vivente che si piega al tempo e al contesto, perciò… 😉

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