Frantumi approda su Suite italiana

Riapre oggi la rivista letteraria Suite italiana che inaugura il nuovo inizio con l’articolo Psiche in mille pezzi e mondo onirico: una riflessione su Frantumi, una recensione della scrittrice Ilaria Palomba su “Frantumi”, Lekton Edizioni, 2021.

“Morgana Chittari è riuscita con Frantumi (Lekton edizioni 2021) a dare voce a una voce, anzi per l’esattezza a quattro, ciascuna delle quattro è suddivisa in più personaggi. Così è composto questo singolare libro di racconti e poesie sperimentarli, dove ogni voce, ogni brano è uno scorcio di presente, ma anche di altrove, di un disagio (oserei dire, freudianamente, della civiltà) più generazionale che individuale. Ricordi di famiglie d’altri tempi, bische di provincia, incontri amorosi di un istante (che sono poi incontri con sé stessi), giocatori d’azzardo, morti che tornano come spettri per presenziare al proprio funerale, storie di fughe dai propri più intimi desideri, amori infelici, ma soprattutto pensieri. È una scrittura fatta soprattutto di pensieri, e non è difficile scorgere in queste voci una fascinazione per certa letteratura e poesia viscerale, violentemente intima, lirica a tratti; penso soprattutto alla Nin, alla Pizarnik e alla Lispector, ma sorprendentemente alcuni racconti – il primo per esempio – mi hanno fatto pensare a Purdy, per il modo in cui l’osceno entra in scena stravolgendo e…”

La recensione continua sulla rivista letteraria Suite Italiana: https://suiteitalianalt.blogspot.com/2022/01/psiche-in-mille-pezzi-e-mondo-onirico.html

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L’arte di chi nasce nel posto sbagliato o nel momento sbagliato o l’arte di sentirsi sbagliati

*L’articolo contiene frammenti della conversazione con Anna Lui in occasione della presentazione presso L’Osservatorio Figurale di Milano (21 ottobre 2021)

Letture dell’attrice Lorenza Cervara*

Cosa significa recuperare il grande nel piccolo, la società nell’individuo?

Presentazione Frantumi, Milano
L’Osservatorio Figurale – 21 ottobre 2021

“Frantumi” nasce dal mio essere persuasa che i piccoli corpi e le loro ferite siano realmente simbolo del grande corpo sociale. Mi è capitato di incontrare esseri umani straordinari, nella vita e nei sogni. Il vantaggio della scrittura è che vita e sogno si mescolano, diventano la stessa cosa: mentre si scrive spesso si perde il confine tra ricordo e invenzione, ed essendo una persona incline a non accettare il reale così come mi viene offerto, è questa la caratteristica che amo dello scrivere. La diversità e la straordinarietà dei personaggi che ho scelto di raccontare, pur nella loro semplicità (Il Professore, a ben guardare, potremmo incontrarlo che dorme all’ingresso del discount vicino casa nostra), diventa ricchezza per chi li incontra: sono personaggi che, nell’istante in cui varcano una soglia, muovono lo spazio e i sentimenti di chi li incontra.

Mentre nella vita la mia lotta quotidiana per sopravvivere consiste nel trasfigurare ogni cosa o persona (apparentemente) banale, questi personaggi nel testo mi si sono offerti come naturalmente straordinari: è come se non facessero fatica ad essere come sono.

Quando si scrive bisogna distillare l’essenza delle umanità che si descrivono. Andrea, Libero, La Sciantosa, il Professore: sono tutti personaggi naturalmente interessanti e fuori dagli schemi e credo che, se uscissero dal mio libro per vivere di vita propria nell’immaginazione di chi legge, come spera faranno, continuerebbero ad esserlo.

E sono tutti, irrimediabilmente personaggi rotti dentro.

Come persona che vive e che scrive sono da sempre più vicina agli ultimi, a chi ha la tentazione di cadere, a chi è prossimo all’abisso o a una crisi di nervi.

Per sensibilità, non per scelta. Nelle storie c’è una lotta continua contro la mia – e la loro natura – ma non sono di quelli che credono che “ce la possiamo fare”, che si può sempre vincere se solo lo si vuole. La riuscita o il fallimento di un essere umano dipendono da troppi fattori, inclusa la fortuna.

Presentazione Frantumi, Milano
L’Osservatorio Figurale – 21 ottobre 2021

Mi sono chiesta, scrivendo: che fine fanno quelli che non ce la fanno? Quelli che non hanno voce? Quelli che per un brutto tiro della sorte sono caduti troppe volte e non hanno più voglia di rialzarsi? Anche loro vanno legittimati. Nella vita spesso non ricevono questo riconoscimento, questa legittimazione. Nelle storie, sì, questo si può ancora, e sempre, fare.

Sono invisibili, non esistono, scompaiono: sono straordinari e nessuno li vede.

MAGARI SONO NATI NEL POSTO SBAGLIATO, NEL MOMENTO SBAGLIATO OPPURE CONOSCONO LE PERSONE SBAGLIATE O, NON DI RADO, LORO STESSI SI SENTONO SBAGLIATI.

Credo che questo “sentirsi sbagliati” sia qualcosa che tutti noi, chi scrive e chi legge, siamo in grado di comprendere. È di queste umanità ferite che mi interessa raccontare. Questa passione arriva da lontano, dalle mie letture dei classici, testi come

“L’uomo che ride” di Victor Hugo, “Memorie dal sottosuolo” di Dostoevskij, “Un uomo finito” di Giovanni Papini e “Ewald Tragy” di Rilke

solo per citare alcuni degli autori che più hanno influenzato la mia scrittura in quella fase delicatissima di ogni lettore che è la ricerca di toni, atmosfere, temi che inchiodano alla pagine.

Queste letture, e la scrittura, l’urgenza della parola che esplode dall’atro fondo dell’anima, nascono forse dal “semplice” fatto che io stessa, come essere umano mi sento sempre più vicina al collasso più che al successo.

Presentazione di “Frantumi” a Milano: foto di Carmine Fotografie

Volevo scrivere di Bolaño e Bernhard ma a Catania Parte 1 (ieri) e Parte 2 (oggi)

Parte 1 (ieri)

Volevo scrivere di Bolaño e Bernhard ma Catania si sta inabissando sotto litri di pioggia.

Avrei voluto parlarvi di Roberto Bolaño e Thomas Bernhard, dello stupore di scoprire a più di trent’anni due autori che sono colossi della letteratura mondiale e che ancora molti lettori – e tra questi lettori c’ero io fino a qualche mese fa – non conoscono. L’ironia pungente di una voce unica, miseria fango sesso libero e bordelli mescolati con garbo nel cielo tutto Messico e nuvole immagini di sogno che ci perdono in parole come ragnatele e vomiti cristallizzati circuiti ossessivi e un ritmo forsennato, implacabile.

Uno stile straordinario, questi due folli.

Avrei voluto scrivere di tutto questo ma Catania si sta inabissando sotto litri di pioggia e, in momenti in cui devi sollevare la gonna fin sopra le mutande – per fortuna ultimamente non porto la gonna, non porto nemmeno le mutande ma comode tute sportive – devi preoccuparti di cose meno nobili, per così dire, meno alte. Più terra terra – che è dove finisce la tua anima quando ti preoccupi per cose quotidiane, cosiddette essenziali, cosiddette minimo sindacale per una vita civile e ti senti l’acqua alla gola. Non di solo pane si vive, e uno ci prova.

Finchè poi non ti entra l’acqua in casa – o almeno ci prova, ad arrivarti alla gola – e tu la spingi fuori – tu qui non puoi, le dici, tu qui non dovresti entrare. Non è posto per te.

E comunque, Complimenti vivissimi a chi ha fatto le case.

Complimenti a chi fa le case.

Complimenti.

Si sa che non tutte le case, non tutte le città, non tutte le terre, riescono col buco. La mia sì.

Un buco vertiginoso sta risucchiando ogni cosa. Ci sono i morti e si sapeva, lo sapevamo, che le braccia di Colapesce stavano per cedere.

Intanto asciugo le gocce e declamo versi di Ungaretti pensando che Brandon Lee non doveva morire sul set, che Milano è una dilettante rispetto a Catania in fatto di acquazzoni e che se Brandon Lee fosse vivo e vivesse a Catania e non a Milano – e penso che se fosse vivo potrebbe darsi benissimo che viva a Catania piuttosto che a Milano o New York o Kuala Lumpur o Kamčatka, non vedo perché no – non direbbe più quella frase poetica e stupida che ci piace tanto e per la quale lo ricordiamo. Non la direbbe. Perché ormai è chiaro a tutti che a Catania, avendo piovuto come sta piovendo da tre giorni, è un po’ come se avesse piovuto “per sempre”, una quantità d’acqua pari a ciò che potrebbe significare “per sempre” – dal che ne deriva che sì, “PUO’ PIOVERE PER SEMPRE”- ed è chiaro che noi tutti, anche se chiusi nelle nostre case in via di allagamento, ci sentiamo così, ora. Proprio ora. Come se dovesse piovere per sempre.

Comunque lo farò, vi parlerò presto di Bolaño e Bernhard, perché sono una che non si arrende a due sputacchiate di dio.

Ne scrivo con passione, di Bolaño e Bernhard, mentre li leggo. E nel prossimo post ve ne parlerò.

Intanto dalla bidonville è tutto.

Passo e chiudo.

Parte 2 (oggi)

Non riesco ancora a scrivere di Bolaño e Bernhard.

O meglio, ne ho scritto ma tengo tutto per me perché non so davvero a cosa serva portarvi in Messico o in Austria mentre la città in cui vivo va in frantumi.

Quello che è accaduto ieri a Catania, quello che forse accadrà domani e venerdì ma che è già accaduto prima di ieri e accadrà ancora dopo domani, serve a ricordarmi ineluttabilmente che la sorte di un essere umano è vincolata al luogo in cui nasce o si trova a vivere.


Di là dal consolatorio “ovunque tu sia, conta solo come vivi”, capisci che sei libero nella misura in cui puoi scegliere non solo come ma dove vivere (giacchè dove nascere non lo potremmo scegliere in nessun caso, anche se c’è chi direbbe – e non voglio contestare la possibilità – che abbiamo scelto ogni cosa prima di nascere, persino i nostri genitori).
Se io potessi scegliere, e in questa fase della mia vita davvero non posso – non posso molte cose ma soprattutto non posso scegliere dove vivere – non vivrei a Catania. La amo, questa città, e non consiglierei a nessuno di viverci. A nessuno. Non sempre si può avere chi, ciò che, si ama. E se c’è qualcuno che non capisce cosa significhi sono lieta per questo qualcuno: significa che non ha dovuto soffrire abbastanza da dirsi spezzato.


Tornando a quanto accaduto ieri a Catania: il modo in cui la città è rimasta spezzata, divorata dalla sua stessa – la nostra – sozzura vomitata dai tombini, mi ricorda che quelli come me, quelli che credono di poter sanare ogni ferita e salvare le cose votate alla rovina, hanno fallito. Abbiamo fallito. Io ho fallito. Quelli come me hanno fallito e nulla possono contro quelli che questa città, questa terra in generale, la vogliono franta e sfatta, capo chino ventre a terra bocca nel fango ginocchia sbucciate tra le crepe dell’asfalto. Non la vorrei così, noi non la vorremmo così, questa città, ma ho capito anni fa che io, che noi, non siamo niente. Non siamo i grandi, non siamo i potenti – e dico noi per dire di quelli che, come me, non hanno mai avuto la vocazione a comandare, impartire ordini, dettare le regole del gioco, dire agli altri di fare o non fare qualcosa, e come.

“L’arte della guerra” di Sun Tzu l’ho letto pure io – e ci mancherebbe, leggo qualsiasi cosa – ma non come devono averlo letto quelli che comandano – sempre che l’abbiano letto, ma ormai l’hanno letto tutti – per piegarlo alle nefandezze. L’ho letto, ricopiato, imparato a memoria e capito che no, mi dispiace ma non ce l’ho, la vocazione al comando, e sì, un po’ mi dispiace. Senza arroganza dico che mi dispiace che quelli come me non ce l’abbiano quasi mai, la vocazione al comando. Perché quelli che ce l’hanno questo talento, questa vocazione, sono gli stessi che hanno reso possibile che questa terra, ancora nel 2021, soffochi nella sua stessa merda.


Io scriverò, dipingerò, userò il corpo e la voce ma non ho idea di come tutto ciò che sono e che so fare possa sanare questo tipo di ferita. E posso volere molte cose, tutte bellissime e inutili, ma per quanto lo voglia, per quanto ci provi, concretamente non la costruirò mai da sola, questa rete. Faccio quel che posso. Ma, in questo volere, mi sento spesso sola.
Ripeto: non ho idea di come ciò che so fare possa sanare questo tipo di ferita ma sono certa che può sanarne altre. Se non lo fossi – ma lo sono – getterei la penna, tirerei lo sciacquone – sperando non si intasi e non vomiti le mie lordure – e smetterei di fare la sola cosa che, in questa vita – non so dire delle altre, dove quasi sempre mi immagino ballerina di burlesque o freak in qualche carrozzone circense – so fare bene.

Quello che so fare bene non salverà la mia città – c’è chi, migliore di me, ci ha già provato, e ha fallito – non salverà la mia terra, non salverà un popolo umiliato e offeso (da se stesso) da secoli. Ho smesso di volere le grandi azioni, le grandi rivoluzioni. Preferisco la piccola persona che ha il coraggio di dire aiutami, e poi si lascia aiutare.

Se avrò la possibilità lascerò ancora una volta la mia città, che amo, e, ancora una volta, andrò in frantumi. E sia.

A qualcuno capita di nascere ma nessuno sceglie dove nascere, chi o cosa amare. Sarò egoista ma questo è il tipo di egoismo che pretendo da me stessa per salvaguardare la possibilità di restare io, poter ancora dire di servire a qualcosa, a qualcuno che ha davvero bisogno di ciò che posso offrire.

E riconoscere che, anche se fa male, ci sono Persone – e Cose e Città e Terre – che non vogliono essere salvate.


“…splendida, geniale, sporca, volgare, affascinante, generosa, ingannatrice, urlante, maleducata, ladra, ridente, traditrice, non rassomiglia ad alcuna altra città al mondo.

Io che ti amai subito (…) un giorno o l’altro ti abbandonerò.

E subito non avrò più il mio cuore.

Ma domani, e anche dopodomani, voglio continuare a scrivere un madrigale per te”.


Giuseppe Fava (frammento dedicato a Catania), “I Siciliani”, 1980

“Se sono fortunata il mondo va in frantumi o finisce sottosopra”

“Ok Morgana, facciamo un video su cos’è per te la scrittura.”

“Un sacco da boxe lo abbiamo?”

“Sì.”

“Ok, allora. Facciamolo.”

Booktrailer di “Frantumi”

Regia: Morgana Chittari – Simone Belvedere

Fotografia e video editing: Carmine Prestipino

Testi: Morgana Chittari / Adattamento Salvo Velardita

Attori: Morgana Chittari

Musiche originali: Carmine Prestipino Shattered Part 1 / 2

Per la location un ringraziamento speciale a Rugby I Briganti ASD Onlus – Librino

“Perché scrivere?

Per non pensare al dolore. O per pensarci tanto da dimenticarlo.

Si scrive per ingannare la morte. O per sedurla, che poi è lo stesso.

Ma per lo più si incassa e si va al tappeto.

Le stelle non cadono, gli esseri umani sì.

Chi scrive spesso lo fa nonostante la vita, nonostante tutto. Si fa beffe di tutto: della vita, della morte, di se stesso.

È un Icaro che si esalta perché crede di poter volare. E continua a crederci anche quando si schianta al suolo. Anche quando cade a pezzi.

È abbastanza per essere un Sisifo felice.”

Il booktrailer di “Frantumi” è disponibile sui canali della Lekton Edizioni

👉YouTubehttps://www.youtube.com/watch?v=5IbExWLcRP8

👉Facebook https://www.facebook.com/lektonedizioni/videos/573778230724095

Dal 23 settembre “Frantumi” è disponibile in libreria e ordinabile sul sito e sui canali social di Lekton Edizioni (spedizione gratuita)

👉https://www.lektonedizioni.it/…/rapsodie…/frantumi/Lekton Edizioni

Frantume III

Il silenzio è tempesta di luce che pesa.

Non so, non oso parlare

non oso, non so le cose perdute.

La parola deragliando, non consiste

perde peso, il buio che cede

ciondolando

spezza il collo alla sillaba finale

nell’ora dello sbadiglio.

Nessun re intima fermate l’esecuzione!

La parola resta sola sotto la lama,

all’alba, vanito il suono,

resta sola.

Spezzata.

Ph. Carmine Fotografie

Voce del Verbo Rileggere_Demolire_Non Finire

Dopo aver comprato dal Signor Pescebanana il Genji monogatari, romanzo colossale della letteratura giapponese scritto nell’XI secolo dalla dama di corte Murasaki Shikibu, dovrò affrontare un duro periodo di astinenza dall’acquisto compulsivo di libri.

Per mia fortuna sono una rilettrice, una che legge e viviseziona le parole, e negli anni ho accumulato milletrecentocinquantadue libri – in fondo, chi accumula libri è uno che si porta avanti, un pò pazzo e un pò profeta, uno che ha già e sempre previsto catastrofi e pandemie – milletrecentocinquantadue libri che aspettano solo di essere riletti o completati.

Non è per il cibo che ora devo risparmiare, a quel punto non siamo ancora arrivati, ma per i medicinali. Il mio corpo, come annidato qui Sulla Quarta Corda tra le righe, ha bisogno di cure e riguardi quotidiani, oggi più che mai.

Non è star male che dispiace, e nemmeno finire, ma vivere senza vigore, senza poter leggere e scrivere.

Quelli che rileggerò sono testi scritti perlopiù tra Settecento, Ottocento e prima metà del Novecento.

Ho bisogno di recuperare uno scarto tra il linguaggio stantio, trito e consunto che la gente quasi sempre parlando – sui social, nella vita, cioè ancora sui social – si ostina a usare e l’eufonia della parola cercata, scelta per il suono, accostata ad un’altra per le seduzioni che essa dischiude.

Appena potrò tornare a spendere per i libri c’è una lista speciale da esaudire. Gli autori dei libri in questione sono tutti vivi, per nostra fortuna li si può leggere anche online o in riviste da loro fondate, eppure si collocano oltre il confine angusto di questo spazio e di questo tempo. Sono grata a loro che scrivono, sono grata agli editori che li pubblicano. Accanto ai titoli riporto le case editrici perché ne verrà fuori una mappa (minima, incompleta) della vera letteratura, quella che fa un balzo oltre il consueto, che oggi sono rimasti in pochi a fare.

Ilaria Palomba, Città metafisiche, Ensemble

Anne Carson, Economia dell’imperduto, Utopia

Giordano Tedoldi, I segnalati, Fazi

Giorgia Tribuiani, Guasti, Voland

Ezio Sinigaglia, L’imitazion del vero, Terrarossa

Graziano Graziani, Taccuino delle piccole occupazioni, Tunuè

Giulio Mozzi, Le ripetizioni, Marsilio

Cataldo Dino Meo, Vandalica

Giulia Maturani, Sogni d’amianto, Eretica

Stefani Redaelli, Beati gli inquieti, Neo

Filippo Tuena, Stranieri alla terra, Nutrimenti

Ce ne sarebbero altri ma mi limito ai più urgenti. Non aggiungo alla lista, perché già sul mio scaffale, letto, riletto senza regole, l’inizio dalla fine, Binari di Monica Pezzella, ancora Terrarossa Edizioni, una delle scrittrici viventi che se ne fotte di strizzare l’occhio al lettore e ti fa venire voglia di leccare e mordere le sue parole.

Premetto che scrivo questo post anche perché vorrei che la mia lista si arricchisse, in questi mesi.

Lo stile e l’umore dei libri che cerco ha avuto illustri precedenti per delinearsi.

Se avete suggestioni, sarò felice di accoglierle.

Intanto, c’è un altro libro che dovrò rileggere, ed è il mio.

Il manoscritto è nato pronto, dice l’Editore – che è Uno, anzi UnA, anzi Due, Una e Trino – che non ha paura di dire le cose in faccia per come le vede, dure e crude, e lodarti quando sono belle, le tue parole.

Scritto in pochi mesi, questo libro ha avuto bisogno della vita vissuta e mancata, dei sogni e degli incubi dei dieci anni precedenti per farsi Corpo.

Ha avuto bisogno di quel dilettevole gioco di “imitazione”, smontaggio e assemblaggio, previe scosse di assestamento, che chiamo “rifare i grandi”: quel gioco per cui si scrive senza dimenticare le parole che ti hanno nutrito e, mentre si scrive, si demolisce un universo ideale, si fa a pezzi se stessi, monadi impazzite ricomposte dalla brama di stupore, per edificare un mondo che sia nuovo, un mondo nel quale sentirsi, per la prima volta, la persona giusta nel posto giusto.

È una cosa piccola e imperfetta, per questo la amo. Ma grande nella sua onestà, che è verità privata del patetismo e copiosamente ironica.

È solo un inizio che non finisce, e ha il sapore della prima volta. Perciò, quando sarà fatta, mi mancherà per sempre.

Per il momento non dico di più, è già troppo presto e ancora troppo tardi per parlare.