Quando ho viaggiato, non ho soltanto scritto. Qui ero a Cordoba, in Andalusia.
Dov’è Cordova, direte? Negli occhi, nei miei, forse.
Ho scoperto di essere una creatura creatrice, proteiforme, e in che misura capace in termini di bellezza. Queste creature, realizzate con queste mani, oggi chiedono ancora di vivere. Queste mani hanno ancora colore.
Chiedete di più alle vostre mani. Chiedetelo davvero. Vi sapranno ricompensare.
“Ma se un tormento viene tenuto temporaneamente lontano, non si può dire che abbia cessato di esistere; è presente persino nella cura con cui si cerca di evitarlo”.
Tra le mie più grandi fortune, quella di essere una sradicata. Quel dolore primigenio, tra solitudine e spaesamento, che il volgere del tempo ha mutato in ardente e febbrile anelito di libertà.
Libertà di sentirmi, di volta in volta, straniera e “a casa” ovunque.
Ecco perché, quale che sia la destinazione o la distanza,
il Viaggio.
Quest’inesausta bramosia muove dalla coscienza che Casa altro non è che uno stato d’animo,
un Volto,
la Pagina che ho amato di più.
Esule senza rimpianto, porto con orgoglio le vestigia di un passato che non dimentico.
Che poi è come dire, di ogni dove, imparare a godere la bellezza: foss’anche per un istante, quanto basta per cogliervi una sfumatura, un’affinità, capace di restituire quel senso di “dimora perduta”.
“Se non dovessi tornare,
sappiate che non sono mai
partito.
Il mio viaggiare
è stato tutto un restare
qua, dove non fui mai.
(…)
Se volete incontrarmi,
cercatemi dove non mi trovo.
Non so indicarvi altro luogo.”
(Giorgio Caproni, Biglietto lasciato prima di non andar via – Il Franco cacciatore, 1982)
In Cammino. Lei (schizzo, carboncino su carta 15×20)
In Cammino. Lui (schizzo, carboncino su carta 15×20)
Anime Erranti (schizzo, carboncino su carta 15×20)
“Ma se un tormento viene tenuto temporaneamente lontano, non si può dire che abbia cessato di esistere; è presente persino nella cura con cui si cerca di evitarlo”.
(Simone De Beauvoir, La forza delle cose)
Dal boudoir. Un segreto (matita e carboncino su carta, 24 x 33)
La mia infanzia non reca il segno di luoghi fisici: vivevo in una città, ma i miei occhi erano ingabbiati tra le mura domestiche.
Si dice che chi dipinge non dimentichi, nelle sue esplosioni, il luogo in cui è nato e cresciuto. Se così è, la mia dimora sono stata “io”: il mio volto, il mio stesso corpo. Non ho mai desiderato ardentemente raffigurare paesaggi di qualche tipo, ma solo volti.
Come se la miriade di luoghi che nel tempo ho vissuto non si fossero mai davvero radicati in me; mai quanto le persone, i volti, i sentimenti. Sono loro, fantasmatiche presenze del mio passato o della fantasia, generati dalla pagina o dalle mie notti, folle di sconosciuti o amici assenti, sono loro che popolano e forgiano la mia idea di “luogo”.
Su tutti domina, indiscussa, Lei: la Donna.
Restasse, nel mondo, un ultimo empito di bellezza, avrebbe un volto di donna.
Cordoba, 31 agosto 2014 Lasciarsi predare da un emozione, è farsi dimentichi del tempo. Talvolta, andare lontano, solo per disimparare la fretta. E fermarsi. Indugiare su quel gesto, quel colore, quel volto, che frena il passo del tempo, ha una storia da raccontare.
E ascoltare.
“Bellezza” è tutto ciò che mi trafigge, come un dolore. Quel volto incontrato per via, fermato in un respiro.
“Essendo quello che sei, devi capire la gioia quasi dolorosa che provo per averti incontrata, gioia e stupore. Trovo colmata, in tutti i modi, la mia infinita solitudine, colmata in un modo che mi spaventa (….) e quasi non credo che tu ed io apparteniamo a questo mondo, ed è proprio questo, questo incontro troppo perfetto, che mi turba come un dolore. (…) I tuoi silenzi sono come i miei. Sei la sola di fronte alla quale non mi vergogni dei miei silenzi. (…). La nostra immaginazione ama le stesse immagini, desidera le stesse forme, le stesse creazioni (…). Una fatalità che è al di là di noi, ci ha spinto l’uno verso l’altro, e tu ne eri consapevole, tu hai visto le somiglianze, hai intuito il bene che avremmo potuto farci a vicenda.”
(Lettera di Antonin Artaud ad Anais Nin, cit. in Anais Nin, Diario, Volume I)