Il Mondo

Voglio procedere a passi ampi ed intentati nel mio destino. Tracciare un sentiero inesplorato. Potrei contraddirmi, smentirmi. Non ho un’anima, ma mille. Lasciatemi essere le mie moltiloquenti sfumature, le mie policromatiche fantasmagorie. Preferisco mille volte il dubbio, lo scoramento, questo cuore in disequilibrio, l’inquietudine.

C’è molta più vita in un sogno frustrato, in un angelo caduto.

Su ogni chimera vanita, cade il silenzio. Ma da quel “voler essere”, da quel “sognare di più” così umano, troppo umano, si leva un grido di prometeico orgoglio.

Un giorno, mentre dormivo, il Mondo andò in frantumi. Ecco cosa feci, dei miei cocci.

Il Mondo (acrilico, tempera e pastello su carta, 50×70)
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Diafane Essenze

“somewhere I have never travelled, gladly beyond
any experience, your eyes have their silence:
in your most frail gesture are things which enclose me,
or which I cannot touch because they are too near

your slightest look easily will unclose me
though I have closed myself as fingers,
you always open petal by petal myself as Spring opens
(touching skillfully, mysteriously) her first rose”

Edward Estlin Cummings

Errabondo

“Ho lasciato una terra che non era la mia,
per un’altra che neppure lo è.
Mi sono rifugiato in un vocabolo d’inchiostro, avendo, come spazio, il libro;
parola di nessun luogo, essendo quella oscura del deserto.
Non mi sono coperto, la notte.
Non mi sono protetto dal sole.
Ho camminato nudo.
Da dove venissi, non aveva più importanza.
Dove mi recassi, non interessava a nessuno.
Vento, vi dico, vento.
E un po’ di sabbia nel vento.”

Edmond Jabès, Uno straniero con, sotto il braccio, un libro di piccolo formato

Miraggi

Quel che resta, di là dalle nubi,
in un cuore bambino.
Perché ciò che si nasconde,
non significa sia andato perduto.

“Bisogna essere pazzi, non sognatori.” (Cesare Pavese, Il mestiere di vivere)

Cyrano

Una Vita imperfetta, paga delle proprie

stravaganze. Una Felicità

incompiuta

strabocchevole ed inesausta. Di là dalla quale c’è ancora qualcosa

da sognare.

Cos’è un Sogno, se non un modo altro per dire la vita di quelli che non hanno saputo vivere se non tra le pagine?

“Lo so bene che alla fine mi vincerete; non importa: io mi batto! Mi batto! Tetragono a ogni ricatto!

(Disegna immensi mulinelli e si ferma ansimando)”.

Edmond Rostand, Cyrano De Bergerac

“Io sono solo un povero cadetto di Guascogna, però non la sopporto

la gente che non sogna.”

Francesco Guccini, Cyrano
http://www.youtube.com/watch?v=T_wnAnIM3cw

In-forme di vita

La notte faccio progetti,

vivo,

(ri)penso il mondo e lo distruggo.
Lo rifaccio nuovo.


Poi, mi desto: e sono il fantasma di sempre.

La notte, con le sue malìe, la sa più lunga della vita.

Ogni letizia in terra

È menzognero incanto

Di interminato pianto

Fonte è l’umano cor.

(Simon Boccanegra, G. Verdi, su libretto di F. M. Piave)

Ridi, pagliaccio

Ogni forma di divertimento, o distrazione, è una diversione dall’essenziale, un modo per sottrarsi al pensiero di ciò che siamo.

Uscire da noi, arruolare corpo e mente nell’affannoso commercio col mondo. Non si può farne a meno.


In Aspettando Godot, Beckett fa dire a Estragone: “Troviamo sempre qualcosa vero, Didi, per darci l’impressione di esistere?”
Barattiamo il Tempo con “qualcosa da fare”,

rincorriamo chimere,

fiacchiamo e disperdiamo noi stessi in una moltitudine di attività che ci danno l’illusione di EsserCi.


Eterno sollazzo dell’uomo stanco di fermarsi, pensarsi.


Ché, talvolta, “stare”, chiede più fiato, più coraggio.
In ogni luogo, in ogni tempo, la dignità del nostro essere uomini si manifesta lontano dal tripudio della festa.
E’ nell’angusto spazio delle nostre stanze che riveliamo la verità di ciò che siamo.

Siamo realmente ciò che riusciamo ad essere nelle nostre solitudini.

Il resto, è una fanfara che imbastiamo per la piazza.

Tutta l’infelicità degli uomini proviene (…) dal non saper restare tranquilli in una camera” (B. Pascal, Pensieri)

Eppure, così distante dalla – eppure così simile alla – morte, anche la festa ha le sue ragioni: rammenta l’infinito possibile impigliato in carne e sangue e fibre; e che la carne, essa pure, ha diritto di gridare, saziarsi al banchetto delle vanità esplose.

Non arrendersi al nulla cui è votata.

L’Uomo che ride

L’Essere umano più ‘riuscito’, il più compiutamente umano,
è il fallito.
Il solo che abbia avuto il coraggio di dialogare con le proprie sconfitte.
Del resto, un Uomo che abbia speso il proprio tempo a cercarsi,
che abbia dolorosamente espugnato i fondi abissi della propria anima,
faticosamente conquistato se stesso

solo
quel misero se stesso

non varrà poi molto agli occhi distratti del mondo che, frattanto, intento nel suo corso, avrà già proceduto oltre, portando seco,
forse, appena l’ombra di Colui.