Una Donna

La mia infanzia non reca il segno di luoghi fisici: vivevo in una città, ma i miei occhi erano ingabbiati tra le mura domestiche.

Si dice che chi dipinge non dimentichi, nelle sue esplosioni, il luogo in cui è nato e cresciuto. Se così è, la mia dimora sono stata “io”: il mio volto, il mio stesso corpo. Non ho mai desiderato ardentemente raffigurare paesaggi di qualche tipo, ma solo volti.

Come se la miriade di luoghi che nel tempo ho vissuto non si fossero mai davvero radicati in me; mai quanto le persone, i volti, i sentimenti. Sono loro, fantasmatiche presenze del mio passato o della fantasia, generati dalla pagina o dalle mie notti, folle di sconosciuti o amici assenti, sono loro che popolano e forgiano la mia idea di “luogo”.

Su tutti domina, indiscussa, Lei: la Donna.

Restasse, nel mondo, un ultimo empito di bellezza,
avrebbe un volto di donna.

Angelo Caduto

La vera felicità è impossibile senza la solitudine. Probabilmente l’angelo caduto tradì Dio perché desiderava la solitudine, che gli angeli non conoscono.
(Anton Čechov, La corsia n.6, 1892)

Il tuo cuore si è insuperbito per la tua bellezza; tu hai corrotto la tua saggezza a causa del tuo splendore; io ti getto a terra, ti dò in spettacolo ai re…
Tutti quelli che ti conoscevano fra i popoli restano stupefatti al vederti; tu sei diventato oggetto di terrore e non esisterai mai più.

(Bibbia, Ezec. 28:12-19)

Quanta Fortuna, essere Caduti dal cielo.

Lo stile è una storia

Cos’è il “modo” per un attore?

Il “modo” è l’essenza stessa dell’arte dell’attore.

Più l’azione in scena è semplice, “di transizione”, quotidiana, meglio lo spettatore potrà osservare il “modo” di quell’azione e capire se ha di fronte un buon attore o un ciarlatano. Un gesto come “uccidere” desta attenzione in sè per sè, per il ruolo che reca in una storia, e con il suo contenuto che grida ci distrae dalla forma; ma gesti consueti come camminare, mangiare o fumare sono portatori della massima difficoltà: per un attore l’obiettivo più arduo da raggiungere è la semplicità; egli deve continuamente esercitarsi con gesti semplici e quotidiani perchè è lì che emerge il modo in cui egli li compie, che è lo specifico della sua arte. Il modo è già stile e, citando Decroux,

“lo stile è una storia“.

Il modo del fare è molto più importante del fare: ecco perchè non esiste gesto che non sia stato ripetuto cento volte per avere il diritto di essere mostrato“. Quando Decroux parla del modo entra nello specifico dell’allenamento quotidiano di ogni attore. Chi entrasse nel dietro le quinte, vedrebbe

“il dramma di creare, quello di obbedire e la costruzione delle cose”.

Creare è trovare idee e trasformarle subito in figure, provare e riprovare azioni fino a fissare quella che soddisfa. Obbedire è copiare una determinata figura data, quella e non altra: un’operazione che chiede maggior inventiva e disciplina di quella richiesta dalla creazione. La figura trovata è una promessa che va mantenuta, e qui entra in gioco l’equilibrio. La trovata più geniale da parte dell’attore deve resistere alla prova del corpo ed essere mantenuta, portata fino in fondo. Quanto Decroux ci dice sul mimo vale per il corpo d’attore in generale: se un attore ha una bellissima idea su un’azione che vuole compiere, non può dimenticare improvvisamente di avere un corpo, il proprio, che sarà il solo modo di veicolare quell’azione. Lo svantaggio, e il privilegio, dell’arte dell’attore, è

la coincidenza tra artista e opera d’arte:

il pittore può mostrare la sua opera ed essere contumace (non pretendiamo di vedere Monet accanto al suo quadro esposto in un museo!), così come lo scrittore, lo scultore, l’artigiano; ma l’attore mostra se stesso,

è egli stesso la sua più grande opera d’arte,

ed ogni suo gesto, specialmente il più semplice, non può venir meno a questo assunto di base. Come ci ricorda Decroux, in questo senso, l’arte del mimo in quanto arte di consapevolezza del proprio corpo, riguarda tutti, interessa tutti:

“essere mimo o non esserlo non dipende da voi, lo siete irrimediabilmente”,

in quanto detentori di un corpo,

“ma dipende da voi esserlo in bellezza”.

Chiunque di noi desideri tornare ad essere semplice, dovrebbe saperne di più sul mimo: l’affettazione è il modo in cui il nostro corpo si porta normalmente nei vari “cerimoniali” che la vita ci impone – famiglia, lavoro, eventi mondani -; noi tutti abbiamo un corpo ma non sappiamo “gestirlo” con naturalezza, ci sentiamo ingabbiati e artificiosi nei gesti.

La semplicità si impara, non l’artificio:

questo ci dice Decroux. Vale per l’attore e vale un pò anche nella vita, a ben pensarci. Se è vero, come sostenevano Rousseau e Tolstoj, che il lavoro manuale educa il pensiero, allora il mimo è il primo dei lavoratori manuali e dei maestri poiché fa del corpo il proprio strumento di lavoro.

“Il corpo è la punta avanzata dell’idea in movimento”

Chiariamo subito un possibile equivoco: quando parlo di corpo d’attore, mi riferisco sempre anche alla voce; Decroux si riferisce all’arte del mimo ma io sono persuasa che le sue considerazioni siano valide anche in riferimento alla voce, che ritengo parte integrante del corpo d’attore. Non è forse corpo, il suono? Non è allenando parti del nostro corpo che governiamo quel suono?

In questo senso, allora, essere un attore significa confrontarsi con la bellezza delle cose semplici, avere il privilegio di fare un passo o mangiare una fetta di torta alle mele come fosse qualcosa di importante ed essenziale. In un tempo in cui la vita ci impone di fare a meno del superfluo, forse l’attore non è inessenziale ma anzi può insegnarci, con la propria arte, qualcosa di prezioso:

fare del poco e del niente il nostro tutto.

(Soliloquio nato dal dialogo con Etienne Decroux, “Parole sul mimo”)

(In copertina: “Il mio Chisciotte”, acrilico e tempera su carta, 30 x 50)