Insieme alle tre donne spezzate della mia famiglia – Madre, Nonna, Prozia – ci sono almeno altre due figure di Donna che giganteggiano nella mia vita, se pur per ragioni diverse.
La loro forza è nelle Parole: quelle che, leggendole senza nulla sapere del volto che celano, ti rivelano a te stessa. Se ne fregano del tuo nome, di chi sei o sei stato, da dove vieni.
Le parole sono quelle di Simone De Beauvoir e Anais Nin.
C’è una questione che mi assedia da anni – e che so di non essere la sola a porre – relativa al parallelo tra queste due scrittrici.
Sintetizzando in una domanda: quali sono le ragioni che hanno condotto l’una nell’empireo dell’indiscussa gloria letteraria e mantenuto l’altra nell’ombra, come figura di secondo piano?
L’accostamento muove da ragioni di natura personale ed emotiva, dicevo, ma ha un valore anche sul piano generale: come emerge dalle date – Anais Nin (1903-1977), Simone De Beauvoir (1908-1986) – le due autrici sono coeve.
Non è certo il luogo in cui esaurire la questione ma trovo utile mettere nero su bianco qualche suggestione – labirintica, senza nessuna pretesa se non quella di lanciare un sasso per sentire come rotola, si schianta o fa rumore – sperando di fare un dono specialmente a chi non conosce la figura di Anais.
Ho sempre pensato che per la carica esplosiva a livello sensuale e sessuale, per l’essere così presente in carne e corpo in ogni cosa, oltre che per la dedizione quasi totalizzante alla vita intima, interiore e onirica, la Scrittura di Anais Nin sia stata – prima e dopo la morte – fortemente penalizzata.
Nei suoi Diari, Anais fa continuo riferimento ai dialoghi con Otto Rank, figura di spicco della filosofia e della psicanalisi del tempo, impegnato a mescolare tale disciplina allo studio di ambiti quali leggenda, mito, letteratura, arte (consiglio la lettura della sua opera “Il doppio”, edizione SE).
In molte pagine, Anais ci racconta sia dell’attività di modella al soldo di pittori sia di un certo tipo di letteratura erotica su commissione che dovette piegarsi a scrivere non di rado.
A differenza di Simone, Anais soffrì molti momenti di grave ristrettezza economica, oltre ad essere tormentata dall’indifferenza, quando non ostilità, della critica letteraria, e dovette lavorare su più fronti per difendere la propria scrittura, non ultimo quello materiale.
Non di rado gli editori rispondevano lodando la sua scrittura come “insolita” o “meravigliosa”, sottolineandone l’innegabile qualità letteraria e, al contempo, lamentando la difficoltà, se non impossibilità, di piazzare l’opera di Anais sul mercato (nel Diario V sono riportate alcune di queste risposte).
Come se non bastasse, Anais era una donna oltremodo generosa nel donarsi e nel donare denaro a chi le chiedeva aiuto, inclusi scrittori o artisti (spesso di sesso maschile) che magari avevano o avrebbero avuto più successo di lei. Sono convinta, come del resto emerge leggendo i Diari, che la sua sensibilità, le sue inquietudini interiori e le sue fragilità da questo punto di vista l’abbiano penalizzata (come invece, da altri punti di vista, l’hanno resa la Voce unica che è).
Simone, come ci lascia intendere in Memorie d’una ragazza per bene (primo capitolo della vasta autobiografia) è stata una bambina molto amata e, in qualche misura, “viziata” (possiamo dirlo senza offenderla? Penso proprio di sì).
Inoltre, cresciuta in una famiglia borghese, cattolica e tradizionalista, in qualche misura non si è mai liberata di quel pudore di fondo ed è con grande cautela che ci parla sempre del corpo e del sesso. Nonostante abbia dedicato a temi simili un libro voluminoso dal titolo esemplificativo “Il secondo sesso” (che divenne presto punto di riferimento essenziale per gli studi sulla questione femminile) la mia percezione personale è che abbia toccato il tema, per così dire, “con le pinze”, restando a debita distanza “fisica” dalla questione. Questo non vuol essere un giudizio di merito: trattare il corpo e la sessualità lo si può fare in molti modi e quello da lei scelto è il saggio, una forma più “didattica”, per così dire.
Ma, in che senso restando a debita distanza “fisica” dalla questione?
Nella vita e nella scrittura di Anais la potenza sensuale e sessuale è ovunque nel corpo e nel suono, come nel segno e nel senso delle parole. Per dirla altrimenti, laddove con Simone comprendo la realtà per via intellettuale, con Anais sono obbligata a lasciarmi attraversare: ho voglia di avere un rapporto quasi fisico con le parole, leccarle, strapparle dalla pagina, danzarci sopra, sotto, dentro.
Dipingermele addosso. Farmi penetrare.
Le parole di Simone, in un certo senso, entrano nella testa, scivolano lungo la spina dorsale e poi giungono al cuore: le comprendo e le sento per via di ragione e delicata vibrazione.
Quelle di Anais penetrano attraverso la bocca, la saliva le porta direttamente al ventre e al sesso e poi le fa schizzare alla testa, dove restano per farsi senso, sedimentare ed essere rielaborate: sento l’altrove pulsare dentro le vene e comprendo la gioia del reale nel modo selvaggio in cui un amplesso potrebbe insegnarmelo.
Quello che, mente scrivo, sto immaginando, è che una vita vissuta in maniera tanto vorace, unita al fatto di dire liberamente – per come lei desiderava dirlo – “poso nuda”, “sono una modella” e, al contempo, “sono una scrittrice”, facesse storcere il naso.
Allora come oggi, forse. Anzi, senza forse.
Come se quest’uso del corpo libero da lacci e lacciuoli sminuisse o addirittura annullasse il suo valore come “scrittrice”.
Come se una donna dovesse fare una scelta di campo tra questi due mondi.
Dico una mia sensazione.
Non contesto il valore di De Beauvoir ma credo sinceramente che si sia fatto un torto ad Anais lasciandola in secondo piano.
Bisogna aver messo in dialogo le loro opere, per penetrare questa sensazione.
Se penso al perché una delle due sia emersa dalle fauci del buio, giganteggiando nell’empireo della Grande Letteratura, e l’altra sia rimasta più nell’ombra, non trovo la risposta nel valore della Pagina, impagabile in entrambi i casi, ma, semplificando moltissimo, nel fatto che Simone fosse più “contenuta” su certi temi, nella scrittura come nella vita, e che si sia impegnata moltissimo in politica e nel sociale, affiancando per di più il colosso della filosofia esistenzialista Sartre.
Dal canto suo, Anais invece aveva una relazione ben più tormentata e irrequieta – come lo era il suo animo – con lo scrittore Henry Miller, più celebre di lei (a mio giudizio – e questo sì è un giudizio personalissimo – immeritatamente).
Qui il parallelismo sorge spontaneo: Sartre e De Beauvoir furono e restarono, nella vita come nella letteratura, due giganti; la coppia Miller-Nin invece fu abitata da squilibri colossali. Anche in questo caso, la questione è complessa: la vita amorosa di Anais appare ben più tormentata di quella di Simone, basti pensare al triangolo Anais – Henry – June, moglie di Miller che Anais amò con spietato abbandono.
Esiste un testo che isola questo tema, “Henry e June” (pagine tratte dal diario non censurato di Anais) dal quale nel 1990 è stato tratto un film con Uma Thurman nel ruolo di Jane Miller. Esiste anche l’epistolario “Storia di una passione. Lettere 1932-1953” che testimonia gioie e cadute di questo amore.
Tutto questo per dire che Anais, rispetto a Simone, si concentra soprattutto sul mondo interiore e onirico dell’essere umano. Niente impegno politico e sociale. Eppure nei Diari, che offrono potenti lezioni di vita e di scrittura, intreccia meravigliosamente sogni, incubi e riflessioni su dati concreti quali il contesto sociale, usi e costumi del Messico e dei paesi nei quali si trova a viaggiare, il mercato editoriale, pennellate su artisti e protagonisti del mondo culturale del calibro di Tennesse Williams, e molto altro.
Verrebbe quasi da pensare che la dimensione onirica e interiore eletta al rango di protagonista finisca per contare meno dell’impegno sociale.
Sarebbe come sostenere che “la poesia non serve a niente” solo perché parla di piccole cose e “piccole persone”, citando Anna Maria Ortese.
Ma è di letteratura che stiamo parlando. Però, direbbe la Woolf, un istante: donne e letteratura, forse, è il vero tema.
Viene il dubbio che, in un mondo che fatica ad accettare che una donna possa mettersi in bocca e sulla pelle certe parole e certe immagini proprio come farebbe un uomo (come di fatto Henry Miller faceva nei suoi libri), una come Anais Nin non possa trovare spazio.
Chiudo con questa provocazione e rilancio precisando che Anais non si è mai definita femminista – come del resto altre grandi scrittrici delle quali la causa femminista ha finito per appropriarsi – eppure le sue pagine sono colme del desiderio di riscattare l’universo femminile, e il corpo in generale, dalle gabbie morali e sociali.
Anais non ha mai perorato cause pubbliche, non è mai stata un’attivista per i diritti della donna, non credo di averla mai “vista” in piazza con un cartello a protestare, eppure le pagine del suo diario e, a essere onesti, l’intera sua opera, se la si legge con attenzione, dimostrano come si può dire anche in forma informe di mistero e poesia, con prosa lirica e onrica, la stessa identica cosa.
Si può dirlo dichiarando “io sono femminista” e scrivendoci sopra un bellissimo saggio – come Il secondo sesso – oppure facendo del proprio corpo ciò che si desidera, offrendolo nudo senza paura, dipingendo le parole con la lingua e il colore e scrivendo libri che affermano continuamente quella libertà.
Passi Scelti
“..trovavo una certa dolcezza in questa nostalgia (…) avevo ritrovato la pace del corpo: questa decisa separazione lo sottoponeva a meno dura prova che non un incessante vai e vieni tra la presenza e l’assenza…”
“…uscivo vittoriosa dalla prova cui ero stata sottoposta; l’assenza, la solitudine, non avevano intaccato la mia felicità…”
“…mi parve d’esser sfuggita alla morte, e per sempre. Nel mio sollievo c’era perfino qualcosa di trionfante; decisamente ero nata con la camicia; la sfortuna non m’avrebbe mai raggiunta.”
Simone De Beauvoir, L’età forte
“La vita per me è una danza profonda, sacra, allegra, misteriosa, piena di sentimento. Ma è una danza. Per mercati, bordelli, mattatoi, macellerie, ospedali, io cammino col mio sogno spiegato, e mi perdo nei miei labirinti, e il sogno mi porta a gonfie vele.
Anais Nin, Diario 1934-1939
“Io vedo me stessa e la mia vita ogni giorno in modo diverso (…).
Cambio ogni giorno, cambio modelli, concetti, interpretazione. Sono una serie di umori e di sensazioni. Recito mille ruoli. Piango quando scopro che gli altri li recitano nei miei confronti.
Il mio vero io è sconosciuto (…).Creo un mito e una leggenda, una bugia, una favola, un mondo magico, un mondo che crolla ogni giorno e mi fa venir voglia di imboccare la strada di Virginia Woolf (…) Non ho fiducia in me stessa e ho una grande fiducia negli altri. Ho bisogno d’amore…
Inciampo e faccio errori, e spesso vorrei morire
(…)Penso che la vita sia tragica, non comica, perché non sono capace di distacco.
Ho peccato di idealismo, ho peccato di tutto, ma non di distacco.
Ho vissuto negli abissi (…) e non salgo quasi mai in superficie (…).
…non rinuncerò ad alcun sogno, non mi rassegnerò alla bruttezza, non accetterò alcun mondo se non quello creato da me (…) Soffro di una solitudine cronica.
Non mi sposerò mai, non avrò mai una casa. Il mio simbolo è una nave errante.
…ho sperimentato tutto e ora sono pronta a ricominciare daccapo”.
ANAIS NIN, DIARIO 1944-1947
La gente che trovo irresistibile è quella in cui non è stato ucciso il bambino.
Le qualità di apertura, fiducia, curiosità, tenerezza, impazienza, entusiasmo e altre indefinibili, vengono dal bambino che c’è in noi e sono fonte di fascino.
La risata e il sorriso che non calcolano, la spontaneità che non è bloccata.
Non riesco a ricordare un fascino “adulto” e non so nemmeno se esiste.
Anais Nin, Diario 1955-1966
“La fabulazione ci insegna che i dolori della vita sono significativi. La fabulazione recupera il significato. L’esperienza che si vive giorno per giorno può sembrare futile, distruttiva perché manca la visione della sua totalità. Nel romanzo acquista uno schema. È fabulazione. Va al di là del dolore verso modelli di significanza che ci consolano di tutte le angosce, e ne scoprono l’altezza”
Diario 1947-1955
“Essendo quello che sei, devi capire la gioia quasi dolorosa che provo per averti incontrata, gioia e stupore. Trovo colmata, in tutti i modi, la mia infinita solitudine, colmata in un modo che mi spaventa (….) e quasi non credo che tu ed io apparteniamo a questo mondo, ed è proprio questo, questo incontro troppo perfetto, che mi turba come un dolore. (…) I tuoi silenzi sono come i miei. Sei la sola di fronte alla quale non mi vergogni dei miei silenzi. (…) Tu mi metti di fronte al meglio o al peggio di me, ma, davanti a te, sento che non c’è bisogno che mi vergogni. Tu abiti il mio stesso dominio, ma puoi darmi tutto quello di cui manco, sei il mio complemento. La nostra immaginazione ama le stesse immagini, desidera le stesse forme, le stesse creazioni (…).
Una fatalità che è al di là di noi, ci ha spinto l’uno verso l’altro, e tu ne eri consapevole, tu hai visto le somiglianze, hai intuito il bene che avremmo potuto farci a vicenda.”
Lettera di Antonin Artaud ad Anais Nin, cit. in Anais Nin, Diario 1931-1934