Esiste un modo di raccontare che solo Wes Anderson conosce.
Lasciamo perdere questo cast, che da solo basterebbe a strappare la promessa di un capolavoro.
Un cast costruito come coro in cui, al contempo, ogni singolo elemento ha la sua occasione (mai persa) per brillare: Benicio del Toro, Frances McDormand, Adrien Brody, Tilda Swinton, Saoirse Ronan, Léa Seydoux, Owen Wilson, Bill Murray, Willem Dafoe, Edward Norton, solo per dirne alcuni.
Wes Anderson è un amante delle parole e della scrittura: la voce narrante è quella del cantastorie che vorresti sul comodino, in miniatura, accanto alla candela accesa, ogni notte.
In questo film tutto parte da un necrologio e non c’è storia più vecchia, più “già sentita”: la storia inizia dalla fine, dalla morte, la fine di un essere umano. E la morte genera vita e genera colore.
Un film che non è un film perché è dipinto: affresco, murales, pittura. Il corpo di Lea Seadoux, qui musa di un galeotto pittore, che ricordavo ne “La vie d’Adele” e nei miei sogni adolescenziali umidi di blu, blu, blu ovunque. Ma in questo film Wes si supera e passa dal linguaggio cinematografico a quello del fumetto con abilità, mai a sproposito e sempre a sorpresa.
Tre capitoli, una storia che sono tre storie: il pittore galeotto e la sua guardia carceraria/musa; l’amore tra una cronista ultraquarantenne e un adolescente nel caos della rivolta studentesca del maggio del ‘68; il rapimento di un bambino e un grande chef che salva le vite e i palati di tutti. Tutto condito con ironia.
La città di Angoulême, nella Nuova Aquitania, dove il film è stato girato, viene trasformata in un palcoscenico teatrale. C’è la myse en abime e l’opera teatrale nel film: tu che siedi sulla poltrona rossa della sala guardi uno spettacolo teatrale che sta dentro il film che stai guardando, e dimentichi il film. E’ la caduta nel sogno. Si cade da un livello all’altro. Si sprofonda. Perché Wes Anderson ha questa qualità: essere leggero, danzare sulle cose, senza restare mai in superficie. Esporre il dramma delle piccole cose e delle piccole persone senza cadere nel patetismo.
Pare sia stata una festa persino girare il film: gli abitanti della città sono stati inseriti come comparse, illustratori e artigiani per allestire il set.
È fuori dal tempo, e Oltre ogni tempo, Wes.
Ogni cosa che tocca si trasforma in una brillante mela candita e lui non teme di mostrarti il verme marcio che la rode da dentro. Ma una mela candita resta bellissima anche da morta.
Wes è un mago, un incantatore che sa come incantarti e incatenarti alla sedia. Esci dal cinema e pensi di essere stata a teatro, vedi la munnizza e i ratti per le strade della tua città, il fetore dei sacchetti di organico all’angolo ti penetra le nari come la stupidità umana ti fora i timpani ma sorridi. Un sorriso ebete. E vedi comunque la dolcezza, la bellezza. Non esiste, ma ora la vedi.
Consigliato, se non si fosse capito.
Immagine di copertina (dal web): The French Dispach, regia di Wes Anderson